TORINO. La cultura come un farmaco, impalpabile ma efficace. Anzi: come una terapia riabilitativa. La cultura prescrivibile, da assumere nelle giuste dosi sotto forma di musica e parole musicate. Di atti teatrali, anche. O che si dipana in una pellicola cinematografica.
Accade a Torino, dove un certo numero di pazienti con problemi uditivi - problemi che sovente impattano anche sulla capacità di articolare le parole, cioè di esprimersi - possono beneficiare delle potenzialità riabilitative della musica grazie ad un combinato di fattori: la cablatura e quindi l'accessibilità dell'Auditorium Rai (e del Museo), grazie ad una tecnologia capace di superare le barriere architettoniche anche a livello acustico, un paio di abbonamenti acquistati dall'APIC (Associazione Portatori Impianto Cocleare) e scontati da parte dell'azienda, l'attenzione e la competenza dei professionisti del Dipartimento di Otorinolaringoiatria universitaria della Città della Salute guidato dal professor Roberto Albera. Tra questi la dottoressa Carla Montuschi, che punta ad allargare il raggio di azione di un'iniziativa dal doppio valore: riabilitativo e sociale. Perché la cultura è prima di tutto strumento di aggregazione, oltre che di arricchimento personale: uno strumento costoso, non alla portata di tutti.
In questo caso parliamo di portatori di impianto cocleare - un orecchio artificiale elettronico in grado di ripristinare la percezione uditiva nelle persone con sordità profonda, impiegato quando gli apparecchi acustici non ottengono il risultato sperato - a seguito di una serie di cause o concause: fattori genetici, problemi perinatali, infezioni, uso di farmaci. Senza considerare l'"infarto cocleare" - la perdita improvvisa dell'udito, con intensità variabile a seconda dei casi -, che colpisce di frequente la generazione degli ultracinquantenni. Purtroppo ci sono molti modi per perdere o compromettere seriamente uno tra i beni più preziosi di cui la natura ci ha dotato.
«Ci sono persone che per avere una vita normale hanno fatto anni di riabilitazione, talora con risultati insufficienti - spiega la dottoressa Montuschi -: sentono male e parlano male. In fase di riabilitazione utilizziamo la musica per fare cultura, preparandole prima degli spettacoli e poi mandandole gratuitamente con le loro famiglie». Significa molte cose: allenamento alla percezione uditiva e all'uso del linguaggio, imparando a distinguere i diversi timbri degli strumenti e le voci dell'orchestra, aumento delle proprie conoscenze e occasione di incontro attraverso la scoperta o la riscoperta della cultura come piacere. Va da sé che si impone una scelta difficile: in base alla situazione clinica e alla disponibilità economica.
Il prossimo passo è l'integrazione del pacchetto riabilitativo con il cinema e il teatro. Uguale l'obiettivo: la cultura come strumento di rieducazione e di inclusione, capace di superare ogni barriera.
di Alessandro Mondo
fonte : LA STAMPA